Critica del parametricismo

arch. Graziano Castello

Il parametricismo è figlio di un’errata concezione del parametro, non inteso come misura.
La nozione di “parametro” è opposta a quella di “simmetrico”. Per il primo s’intende una “quasi” misura, mentre per il secondo s’intende proprio “con misura”. Anche Platone nel “Filebo” ci segnala che misura e simmetria sono sempre bellezza e virtù. Platone ricorda altresì, che l’architetto partecipa alla “scienza della conoscenza” perché le sue basi stanno proprio nel calcolo e nella misura le quali sono proprio “arti speculative”.
Il parametricismo odierno è figlio di una concezione matematica del parametro per la quale questo definisce una costante all’interno dell’equazione di una funzione descrivendo, così, una curva (o anche una superficie).
Un elemento che variando produce un gruppo di forme diverse tutte riferibili all’equazione della funzione medesima. Le costanti fanno fluttuare l’espressione funzionale che lega tra loro le variabili (dipendenti e indipendenti) determinando una configurazione specifica nel piano (o nello spazio).
Il vincolo del parametro costringe la famiglia di curve entro una determinata, ma sconfinata, morfologia derivata dall’incrocio di funzione e parametro medesimo. Il variare del parametro non stabilisce proporzioni, ma aumenta solamente le possibilità di ottenere diverse forme.
Quest’ammasso “informe” di significanti rischiano di perdere significato proprio per l’impossibilità di cristallizzarsi su un vero significato condivisibile. L’espressione massima dell’individuo tende ad affermare solo se stesso e, se ognuno ripudia l’esperienza altrui facendo leva solo sulla propria, come può il significato espressivo delle monadi avere, e trovare, valore?
L’architettura è un’arte affermativa, il suo messaggio, quindi, per manifestarsi deve essere interpretabile nel senso più autologico della parola “messaggio”.
Lo stupore fa sicuramente godere l’animo perché è un approccio disimpegnato al messaggio e si percepisce senza apparato alcuno.
Il parametricismo è soltanto una tecnica di progettazione afasica e disimpegnata e criticarlo non significa affatto essere intrisi da una forma rudimentale di commontismo.  Significa semplicemente evidenziare come si deleghi a uno strumento meccanico (quasi fosse una sorta di tirocinante elettronico) la ricerca dello stupore.
Si tratta di un’amplificazione indotta di una spirale ininterrotta di forme attraverso le possibilità variazionali e “pseudo generative” permesse dall’uso smodato degli algoritmi visivi, esaltate dalle simulazioni da realtà aumentata e finalizzate alla produzione virtuale di “forme informi” in cui i rapporti di misura sono uno sputo casuale senza ritmo, senza armonia e senza comunicazione intellegibile a chicchessia.
Si tratta della volgare riduzione dell’architettura a un’immagine cristallizzata di un mostro formale. Un’immagine ingombrante ed estranea.